di Nicola Vacca
Gaetano Salvemini è stato un grande italiano. Nato a Molfetta l’8 settembre 1873, da convinto uomo del Sud deciso a riscattare la sua terra dalla miseria, ancora oggi può considerarsi uno dei più illustri meridionailsti e soprattutto è il padre del socialismo liberale.
Aderì al Partito Socialista Italiano nel 1897, sposando la causa della corrente meridionalista e iniziò la sua collaborazione con Critica sociale, la rivista fondata da Filippo Turati, sostenendo il suffragio universale e il federalismo, considerata l’unica via per risolvere la questione meridionale.
Nella sua attività cercò sempre di sensibilizzare il movimento socialista sul meridionalismo.
Salvemini individua la causa principale del Sud nella mancanza di una classe media autonoma dal potere politico, ma critica anche il movimento socialista che difende i lavoratori del nord e trascura i diritti dei contadini del meridionali, mentre lui auspicava un collegamento sulle due realtà.
«Se c’è un paese, in cui è un’astrazione lontana e fantastica la rivoluzione socialista – come atto risolutivo, il quale istituisca, nella società borghese giunta al colmo del suo sviluppo, il predominio proletario – questo è proprio l’Italia meridionale. Che cosa vogliamo socializzare? La miseria! ( Gaetano Salvemini, La sinistra e la questione meridionale, Laterza, 1990).
Mi piace definire Gaetano Salvemini un grande socialista che sposò una certa idea di sinistra distinta e distante da quella marxista e comunista.
In due articoli del 1920 Salvemini condanna sia il socialismo rivoluzionario del suo tempo, sia il socialismo di Stato, quello burocratico per intenderci. Che tende ad asservire il movimento proletario a un dispotismo di una classe sociale – la burocrazia – infinitamente peggiore della borghesia. Il socialismo nel quale crede Salvemini era quello riformista, il cui ideale e il cui metodo non hanno esaurito il compito nella storia. Infatti, Salvemini può considerarsi il padre di una generazione di antifascisti democratici tra cui Ernesto Rossi, Carlo e Nello Rosselli. Con loro fonda il periodico clandestino Non mollare.
Sono molte le battaglie che Salvemini fece in prima persona da socialista, da laico e da meridionalista. Come non ricordare la denuncia del malcostume politico di Giolitti al quale dedicò Il ministro della mala vita, un libro coraggioso e documentato che inchioda lo statista liberale alle sue responsabilità.
Quando nel 1911 uscì dal Partito Socialista, per dissensi con Filippo Turati, Salvemini fondò L’Unità, giornale da cui continuò la sua battaglia federalista di appassionato meridionalista.
Durante il fascismo fu esule, prima in Francia, dove con i fratelli Rosselli fondò il movimento Giustizia e Libertà, poi in Gran Bretagna, e infine negli Stati Uniti dove insegnò all’Università di Harvard.
Da sostenitore della laicità si impegnò per una scuola laica libera e mai posta sotto la sorveglianza della gerarchia ecclesiastica. Che cos’è la laicità diceva il politico pugliese: “La scuola laica non deve imporre agli alunni credenze religiose, filosofiche o politiche in nome di autorità sottratte al sindacato della ragione. Ma deve mettere gli alunni in condizione di potere con piena libertà e consapevolezza formarsi da sé le proprie convinzioni politiche, filosofiche, religiose”, così scrive Gaetano Salvemini.
Da socialista, fu un uomo moderno che sapeva vedere già oltre il suo tempo essedo dotato di uno spirito riformista autentico capace di coniugare il socialismo con il liberalismo.
Gaetano Salvemini si è distaccato dal Partito Socialista di Turati nel 1911 però all’XI congresso, svoltosi l’anno precedente, preparò una relazione sul problema della riforma elettorale al quale il partito, sino ad allora, non aveva prestato molta attenzione. Scriveva in quella relazione: “Un partito deve saper classificare e graduare le proprie esigenze … dando ad una riforma o ad un gruppo di riforme … la precedenza sulle altre. Un partito che non sa fare questa scelta … è un partito che non sa quel che si voglia, che vuole troppo e non stringe nulla, al quale manca il senso della realtà e la capacità di adeguare l’opera alla realtà stessa.”
La centralità politica della legge elettorale significa, la centralità dei diritti politici: i diritti politici sono la premessa necessaria e non sufficiente per qualsiasi riforma.
Questo pensava ieri Gaetano Salvemini. Il dramma è che le sue parole fotografano l’inerzia di una classe politica di oggi che cerca di fare una legge elettorale che non mette al centro i diritti politici, ma li calpesta.
La lezione di Gaetano Salvemini è ancora attuale.