Articolo di Luigi Ruscello
L’articolo 16 della nostra Costituzione ha sancito il principio della libertà di movimento, per cui ogni cittadino può circolare in ogni luogo del territorio nazionale, salvo limitazioni per motivi sanitari o di sicurezza, e, sempre salvi gli obblighi di legge, entrare e uscire dal territorio della Repubblica.
Ma, fin dall’Unità, non è stato sempre così. Nell’allegato B della legge 20 marzo 1865 era stabilito che ogni cittadino che si trovava fuori dal proprio circondario doveva esibire, su richiesta della pubblica sicurezza, un documento o avere una testimonianza che accertasse la propria identità. In mancanza, veniva munito di foglio di via obbligatorio oppure addirittura accompagnato di forza. Nel 1890, tuttavia, fu abrogato con la legge n. 7321, a sua volta abrogata nel 2008.
Il ventennio fascista, poi, fu caratterizzato da due provvedimenti invero coercitivi. Il 9 aprile 1931, infatti, fu approvata la legge n. 358, contenente norme per la disciplina e lo sviluppo delle migrazioni interne, mentre, una successiva legge del 6 luglio 1939, la n. 1092, recava provvedimenti contro l’urbanesimo.
In particolare, l’articolo7 della legge 358/1931 stabilì che “Lo spostamento di gruppi di lavoratori e di famiglie coloniche da una Provincia per l’impiego in altra Provincia dovrà essere sempre disposto o autorizzato dal Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione interna. Il Commissariato, d’accordo con il Ministero delle corporazioni, ha facoltà di promuovere presso gli organi competenti a’ sensi delle vigenti leggi, la revisione e la modificazione dei patti collettivi di lavoro vigenti nelle Provincie di immigrazione, al fine di agevolare le correnti migratorie e di colonizzazione”. Nel 1939, poi, con la legge n. 1092, del 6 luglio, si completò il proposito di regolamentare gli spostamenti interni perché si combatteva l’urbanesimo mediante prescrizioni sulla preventiva occupazione.
L’articolo1, infatti, statuì che nessuno poteva trasferire la propria residenza in Comuni del Regno,Capoluoghi di provincia o in altri Comuni con popolazione superiore ai 25 mila abitanti, o in Comuni di notevoleimportanza industriale, anche se con popolazione inferiore, se non avesse dimostrato di essersi assicurata una proficua occupazione stabile nel Comune di emigrazione. Sulla natura di tali due leggi contro i trasferimenti si può senz’altro concordare con Einaudi: “Sarebbe stato opportuno che il legislatore fascistico avesse intitolato le due leggi con la più esatta terminologia: Estensione dell’istituto del domicilio coatto e Ristabilimento della servitù della gleba”.
Ma, gli effetti delle politiche fasciste s ifecero sentire solo con la legge del 1931 perché la media del saldo migratorio interno del secondo decennio fascista scende dapprima a 115mila, nel primo quinquennio, e poi assume un valoreaddiritturanegativo nelsecondo. Anzi, viene contraddetta la tesi secondo cui la battaglia contro la “tabe urbana” insieme alla crociata per mantenere radicata nelle campagne la popolazione rurale sarebbe risultata del tutto inconsistente, perché minata da tante contraddizioni. Nel periodo che va dal 1930 al 1940, infatti, è solo il Centro-Italia che presenta un saldo positivo, per l’accentrarsi in Roma di tutta la burocrazia italiana, mentre il Nord e il Sud-Isole mostrano un saldo negativo. Ed è da notare ancora che tali valori sono i più bassi di tutta la storia italiana in tema di trasferimenti di residenza.
Ma la maggiore assurdità è data dal fatto che gli effetti più deleteri si ebbero nell’immediato dopoguerra poiché solo il 15 febbraio 1961 entrò in vigore la legge n. 5, con la quale si abrogarono le due precitate leggi.
Fino al 1961, dunque, tutti i lavoratori che si erano trasferiti, specie al Nord e quindi soprattutto quelli meridionali, non furono altro che “clandestini”. E la prova di quanto innanzi affermato è data dalla ricostruzione dei saldi migratori interni, i quali raggiungono un picco eccezionale nel 1963, cioè quando furono regolarizzati tutti i trasferimenti di residenza. Al riguardo, è da precisare che il saldo globale nazionale solo dal 1995 risulterà pari a zero.
Ma l’effetto più dirompente si ebbe nel mercato del lavoro perché, proprio in virtù del divieto in essere, i lavoratori furono sottoposti a vessazioni di ogni tipo, cominciando dal salario. E dunque il cosiddetto “miracolo economico” si è basato sullo sfruttamento dei lavoratori in generale e dei meridionali in particolare.
Oggi assistiamo ad un capovolgimento totale perché, molto probabilmente, andrà in porto un provvedimento davvero inspiegabile. Come segnalato da Marco Esposito, nella bozza di legge finanziaria per il 2025, all’articolo 68, è contenuta una norma che, a dir poco, può essere definita “rivoluzionaria” in quanto favorisce chi intende trasferirsi per motivi di lavoro.
Al primo comma, infatti, è stabilito che: “Le somme erogate o rimborsate dai datori di lavoro per il pagamento dei canoni di locazione e delle spese di manutenzione dei fabbricati locati dai dipendenti assunti a tempo indeterminato dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2025 non concorrono, per i primi due anni dalla data di assunzione, a formare il reddito ai fini fiscali entro il limite complessivo di 5.000 auro annui. L’esclusione dal concorso alla formazione del reddito del lavoratore non rileva ai fini contributivi.”
L’idea, in sé, non sarebbe nemmeno male poiché prevede aiuti, appunto, a chi trova difficoltà nella nuova sistemazione. In concreto, invece, tenuto conto dei flussi di emigrazione interna, non si farà altro che incentivare l’esodo dal Mezzogiorno. I benefici innanzi indicati, infatti, si applicano solo per coloro che si trasferiscono di almeno 100 Km dal precedente luogo di residenza.
Dal 2002 al 2023, i trasferimenti interni netti, cioè iscrizioni meno cancellazioni di residenza, dal Mezzogiorno verso il Centro e il Nord sono stati pari a 8.612.080 unità, con una media annua di 391.458 abitanti. Di questi, 1.754.396 si sono insediati al Nord, 820.351 al Centro e 6.037.333 nel medesimo Mezzogiorno. Insomma, ogni anno 117.034 meridionali si spostano nel Centro-Nord.
E cosa si fa per combattere la denatalità e la desertificazione del Mezzogiorno? Si incentivano i trasferimenti. Tale incentivo, invece, dovrebbe riguardare solo i trasferimenti nel Mezzogiorno, comprendendolo nei benefici della ZES Unica, previa contrattazione con l’UE.