Articolo di Antonio Bianco senior
La Corte Costituzionale ha assestato un duro colpo alla legge 86/2024 targata Calderoli, ha cassato sette commi e indicato cinque prescrizioni a cui attenersi per riscrivere il testo. La casa è abbattuta ma non polverizzata, e Calderoli è ben determinato a modificare la legge in parlamento. I rilievi della Consulta sono chiari: non si possono trasferire intere materie ma solo specifiche funzioni, la richiesta va motivata e sempre che lo Stato Centrale non sia in grado di svolgere questa funzione nel rispetto del principio di sussidiarietà; la delega al governo per la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) non può essere generica; i LEP non possono essere definitie rivisti con DPCM (Decreto Presidente Consiglio dei Ministri); deve essere eliminato il criterio della spesa storica e le regioni sono obbligate a rispettare il patto di stabilità al fine di prevenire inefficienze di sistema e la crescita della spesa pubblica; il parlamento non può solo ratificare le intese, fra il governo e le regioni, ma deve approvarle e rinviarle per un nuovo esame. Le opposizioni esultano, manca, però, un’azione volta a rimettere al centro dell’agenda politica la Questione meridionale, causa ed effetto delle disuguaglianze tra le due aree del paese. Né l’opposizione ha riaffermato la necessità che il referendum, richiesto da oltre 1,2 milioni di cittadini, sia celebrato, in tal modo, si impedisce ai cittadini di partecipare al dibattito pubblico sul regionalismo differenziato, sin ad ora, svolto solo nelle sedi istituzionali oppure nelle segrete stanze. In tal modo il silenzio dell’opposizione rafforza la proposta del governo Meloni di ritenere oramai inutile il referendum e non pongono in campo l’offensiva per spazzare via lo Spacca Italia.