di Antonio Salvati
I social, sì, condizionano la nostra vita. Affermazione lapalissiana. Sono considerati i nuovi demiurghi dell’età contemporanea, sostituendosi a radio e televisione con le quali – noi boomers – siamo cresciuti, neanche poi tanto male (anche accompagnati dalla compagnia preziosa dei libri). Hanno, i social, perfino introdotto nuove espressioni linguistiche. E – ahinoi! – creato innovative figure professionali come gli influencer, la cui autorevolezza dipende quasi esclusivamente dal numero dei followers o, meglio, dai seguaci. C’è meno consapevolezza di quanto le diverse piattaforme virtuali plasmano le nostre esistenze. Insomma, la rete ha sconquassato le vite di tutti noi. Anche in senso positivo, intendiamoci. Per meglio comprendere quello che ci sta accadendo ancora una volta si rende necessaria la lettura di Byung-Chul Han, noto filosofo sudcoreano e docente di Filosofia all’Università di Berlino Tra le sue ultime fatiche c’è Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete, (Einaudi, Torino 2023, pp. 88, €12.50). Il volume contiene una serie di riflessioni sul regime dell’informazione. Han spiega: «Oggi si sta diffondendo un nuovo nichilismo» che «nasce nel momento in cui perdiamo fede nella verità stessa. […] L’informazione circola ormai completamente scollegata dalla realtà in uno spazio iperreale. Si perde la fiducia nella fattualità. Viviamo in un universo de-fatticizzato. In definitiva scompare, con le verità fattuali, il mondo comune a cui potremmo riferirci nelle nostre azioni». Come non riconoscere tutto ciò tragicamente vero, tragicamente attuale. Ma non tutto è perduto. La conoscenza ci permette di poter aprire gli occhi e di resistere a tanta melma digitale.
Siamo nell’epoca dell’Infocrazia, ossia «quella forma di dominio nella quale l’informazione e la sua diffusione determinano in maniera decisiva, attraverso algoritmi e Intelligenza Artificiale, i processi sociali, economici e politici». Il soggetto sottomesso nel regime dell’informazione non è docile né ossequente. Anzi si crede libero, autentico e creativo: «Il telefono portatile come apparato di sorveglianza e sottomissione sfrutta la libertà e la comunicazione. […] Il dominio si compie nel momento in cui libertà e sorveglianza coincidono». La libertà, spiega il filosofo sudcoreano, è guidata completamente a livello inconscio. Le strutture dei social media riescono a direzionare in modo spaventosamente pervasivo le nostre scelte. L’infocrazia definisce tragicamente tutti noi: «Nel regime dell’informazione essere liberi non significa agire, ma cliccare, mettere like e postare». La digitalizzazione del mondo che procede in maniera inarrestabile finisce per travolgere anche l’ambito politico favorendo pesanti distorsioni e rotture all’interno del processo democratico. E sottopone la nostra percezione, il nostro rapporto col mondo, la nostra convivenza a un profondo cambiamento. Siamo – sostiene Han – «storditi dall’ebbrezza della comunicazione e dell’informazione. Lo tsunami dell’informazione scatena forze distruttive. […] La democrazia degenera in infocrazia. Il medium decisivo agli albori della democrazia è il libro. Il libro fonda il discorso razionale dell’Illuminismo. È al pubblico di lettori ragionanti che dobbiamo la sfera del discorso pubblico, essenziale per la democrazia». In Storia e critica dell’opinione pubblica, Habermas accenna allo stretto nesso tra libro e sfera pubblica democratica: «Col formarsi di un pubblico generale di lettori, costituito soprattutto da borghesi e cittadini e tale da andare al di là della repubblica delle lettere […] emerge per così dire dall’interno della sfera privata una rete relativamente fitta di comunicazione pubblica». Senza la stampa non ci sarebbe stato neppure l’Illuminismo, il quale si appella alla ragione e al ragionamento. È all’interno della cultura del libro che sorge una logica della coerenza: «In una civiltà determinata dalla stampa, il discorso pubblico tende a essere caratterizzato da una sistemazione coerente e ordinata dei fatti e delle opinioni». Tuttavia, il testo di Habermas Storia e critica dell’opinione pubblica, del 1962, conosce – data l’epoca – soltanto i mass media elettronici. In tal senso, l’opera di Habermas richiede una revisione fondamentale. Oggi il discorso pubblico non è minacciato dai format d’intrattenimento dei mass media né dall’infotainment (termine che designa, soprattutto in ambito radio-televisivo, un mezzo di comunicazione di massa con funzione di informazione ed intrattenimento), bensì principalmente dalla diffusione e riproduzione virali delle informazioni; è minacciata, cioè, dall’infodemia. I media digitali per Han «sono animati, inoltre, da forze centrifughe che frammentano la sfera pubblica. La struttura anfiteatrale dei mass media cede il passo alla struttura rizomatica dei media digitali, che non possiede un centro. La sfera pubblica decade a spazio privato. Così la nostra attenzione non viene diretta su temi rilevanti per la società nel suo complesso». Per una comprensione più profonda dell’infocrazia e della crisi democratica nel regime dell’informazione è necessaria una fenomenologia dell’informazione. Questa crisi comincia già a livello cognitivo. Le informazioni «hanno un ristretto margine d’attualità: manca loro la stabilità temporale, in quanto vivono del “fascino della sorpresa».  A causa della loro instabilità temporale esse frammentano la percezione: «gettano la realtà in un “vortice permanente di attualità”». È impossibile soffermarsi sulle informazioni: «così, esse mettono in agitazione il sistema cognitivo. Le pratiche cognitive temporalmente intensive, come il sapere, l’esperienza e la conoscenza, sono rimosse dall’obbligo all’accelerazione tipico delle informazioni».
Un tratto distintivo del totalitarismo classico come religione politica secolare – direbbe Hannah Arendt – è l’ideologia, che avanza «una pretesa di spiegazione totale». L’ideologia come racconto promette «di far luce su tutti gli avvenimenti storici, di ottenere una spiegazione totale del passato, una completa valutazione del presente, un’attendibile previsione del futuro». L’ideologia come spiegazione totale elimina ogni esperienza della contingenza, ogni incertezza. Il totalitarismo plasma una massa ubbidiente, che si sottopone a un capo. L’ideologia anima la massa, infonde in essa un’anima. In La psicologia delle masse Cosí Gustave Le Bon parla di un’anima della massa, che ne uniforma l’agire. Il regime dell’informazione, invece, per Han «isola gli esseri umani. Persino quando si riuniscono, essi non costituiscono una massa, bensí sciami digitali che non seguono un capo, ma i loro influencer». I media digitali pongono fine all’epoca dell’uomo della folla, di cui aveva parlato anni a dietro McLuhan. L’abitante del globo terrestre digitale non è un «nessuno»: è piuttosto un qualcuno con un profilo – mentre nell’epoca delle folle soltanto i criminali avevano un profilo. Il regime dell’informazione si impadronisce dei singoli, proprio in quanto ne crea i profili comportamentali.
Oggi nei dibattiti televisivi tra contendenti non sono più gli argomenti a contare, ma la performance. Lo stile del discorso si è modificato. Vince le elezioni chi si presenta meglio sulla scena. Il discorso spesso degenera in show e pubblicità. I contenuti politici valgono sempre meno. La politica perde così ogni sostanza fino a diventare una politica telecratica dell’immagine. La televisione frammenta il discorso. Neppure la radio, che è adatta a mediare un linguaggio razionale e complesso, è risparmiata da questo processo degenerativo. Il suo linguaggio diviene a sua volta piú frammentato e discontinuo e il suo linguaggio produce sempre più risposte viscerali. Il guaio è che la democrazia è lenta, prolissa e complicata. Per questo la diffusione virale dell’informazione – l’infodemia – mette in pericolo enormemente il processo democratico. Argomentazioni e giustificazioni non possono essere veicolate da tweet o meme, che si diffondono e riproducono a velocità virale. Spiega significativamente Han che «la coerenza logica, che contrassegna il discorso, è estranea ai media virali. Le informazioni hanno una logica propria, una propria temporalità, una propria dignità al di là di verità e menzogna. Anche le fake news sono prima di tutto informazioni. Esse hanno già esercitato il loro pieno effetto prima che abbia inizio un processo di verifica. Le informazioni sfrecciano davanti alla verità e non vengono piú raggiunte da questa. Il tentativo di combattere l’infodemia con la verità è perciò condannato al fallimento: l’infodemia è resistente alla verità».
Qualcuno si era illuso sulla democraticità dei social, sulla loro possibilità di dare la voce a ciascuno. In realtà, la comunicazione sui social media, guidata dagli algoritmi, non è libera né democratica. «Essa conduce a una nuova minorità. Lo smartphone come dispositivo di sottomissione è tutt’altro che un parlamento mobile: esso accelera la degenerazione della sfera pubblica, in quanto pubblicizza instancabilmente la sfera privata come una vetrina mobile. Lo smartphone produce degli zombie del consumo e della comunicazione, anziché cittadini responsabili. La comunicazione digitale provoca un’inversione del flusso delle informazioni, che ha effetti distruttivi sul processo democratico. Le informazioni si diffondono senza passare dallo spazio pubblico. Esse vengono prodotte in spazi privati e inviate a spazi privati. Così la Rete non costituisce una sfera pubblica. I social media rafforzano questa comunicazione senza comunità. Nessuna sfera politica pubblica è costruita a partire da influencer e follower. Le communities digitali sono una forma-merce della comunità; esse sono, in realtà, delle merci (commodities). Non sono capaci di azione politica».
Risulta in crisi anche la pratica discorsiva. Il discorso presuppone la distinzione tra la propria opinione e la propria identità. Gli esseri umani che non possiedono questa capacità discorsiva si attengono spasmodicamente alla propria opinione, «perché altrimenti si sentirebbero minacciati nella loro identità. Per questo motivo il tentativo di distoglierli dalla loro convinzione è destinato a fallire: non prestano ascolto all’altro, non ascoltano. Il discorso, invece, è una pratica dell’ascolto. La crisi della democrazia è in primo luogo una crisi dell’ascolto». Secondo Eli Pariser, la personalizzazione algoritmica della Rete distrugge lo spazio pubblico: «I filtri di nuova generazione stabiliscono le cose che ci piacciono – in base a quello che facciamo o che interessa a persone simili a noi – e poi estrapolano le informazioni. Sono in grado di fare previsioni, di creare e raffinare continuamente una teoria su chi siamo, che cosa faremo e che cosa vorremo. Nell’insieme, creano un universo di informazioni specifico per ciascuno di noi, una “bolla dei filtri”, che altera il modo in cui entriamo in contatto con le idee e le informazioni». Più a lungo navigo su Internet, tanto più la mia bolla dei filtri si riempie di informazioni di mio gradimento, che rafforzano le mie convinzioni. Mi vengono mostrate solo quelle visioni del mondo che si conformano alle mie. Informazioni d’altro tipo vengono tenute lontane. In questo modo la bolla dei filtri mi avviluppa in un permanente «io-dormiente».
Siamo tutti avvisati. «La crescente atomizzazione e trasformazione narcisistica della società ci rende sordi alla voce dell’altro e conduce alla perdita dell’empatia. Oggi siamo tutti dediti al culto di noi stessi. Ciascuno performa e produce sé stesso». A essere responsabile della crisi della democrazia non è la personalizzazione algoritmica della Rete, bensì la sparizione dell’altro, l’incapacità di ascoltare.
E, infine, la crisi della democrazia conseguente all’infocrazia, producendo maggiormente i suoi effetti deleteri nel rapporto dialettico “classi dominanti- classi subalterne”, si riverbera – di conseguenza – anche nei rapporti economici e sociali “Nord/Sud” che vedono quest’ultimo (inteso non solo a livello geografico nazionale ma come “Paesi dominati/ Paesi dipendenti”) destinato ad essere sempre più succube del primo: chi gestisce l’informazione detiene il potere e l’infocrazia sempre più accentuata non può che accentuare le diseguaglianze.

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