di Giuliano Laccetti
In un interessante breve rapporto, Più forte l’impatto dei dazi americani sull’export del Mezzogiorno la Svimez studia l’impatto dei minacciati dazi “amari” (!) che l’amministrazione Trump intenderebbe applicare alle proprie importazioni, in particolare ovviamente con una analisi che si riferisce all’Italia.
A pagare le spese più salate sarebbe, ma guarda un po’, il Mezzogiorno d’Italia. La quota “meridionale” dell’export italiano verso gli USA è di circa il 12.5%, ben superiore, di almeno 2 punti, rispetto alla percentuale di export meridionale in rapporto a quello nazionale, verso tutti gli altri paesi del mondo.
I settori maggiormente interessati sarebbero Energetici (contributo del Sud all’export nazionale di oltre il 64%); Automotive, Elettronica, Informatica (quasi il 30%); Agrifood (23%); Farmaceutici (11%). In base alle stime SVIMEZ, l’export italiano verso gli USA si ridurrebbe del 4,3% nel caso di dazi orizzontali al 10%, con una contrazione in valore di 2,9 mld di export, cifra che salirebbe a 5,8 mld di euro (-8,6%) nel caso di un dazio generalizzato al 20%.
Perché la Svimez sostiene che il maggior danno, in vari scenari di misure di dazi, lo rischierebbe il Sud? Perché appunto va considerata la tipologia delle merci e servizi esportati: dal Mezzogiorno proviene gran parte dell’export di beni e servizi “facilmente” sostituibili (Automotive, Farmaceutici, Agrifood), e quindi a maggior rischio di esportazione, a differenza di prodotti a alto valore aggiunto, il cosiddetto Made in Italy (Abbigliamento/Alta moda, Mobili casa/ufficio) che non sono sostituibili facilmente e quindi rischiano molto meno (una stima di una contrazione del solo 2.6% nel caso di dazi al 20%)
Con una stima di dazi al 10%, la Svimez stima una riduzione di export del 4.7% per il Sud, rispetto al 4.2% per il resto del Paese; se i dazi fossero al 20%, il calo dell’export sarebbe di quasi il 10% per il Sud, a fronte di un -8.5% per il Centro-Nord.
In entrambi gli scenari medio- “ragionevoli”, Il Sud, dunque, subirebbe un impatto maggiore in termini di contrazione dell’export verso gli Usa; tuttavia, per effetto del minor contributo delle esportazioni avalore aggiunto (il Made in Italy), l’impatto negativo per il Sud sarebbe molto più contenuto su Pil e occupazione.
La Svimez, infine, a valle di dichiarazioni e previsioni di “protezione” del mercato e dei lavoratori dell’Automotive USA, analizza uno scenario di dazi al 20% per tutti i beni e servizi, tranne che nel settore Automotive, con dazi al 100%. In tal caso per il Sud sarebbe un disastro: la contrazione delle esportazioni passerebbe a livello nazionale a -8 mld (-12%), con un crollo dell’export di auto di -2,9 mld, riduzione concentrata per oltre un terzo nelle regioni meridionali. Sotto queste ipotesi, l’impatto negativo salirebbe a 0,3 punti di Pil (-5,4 mld): -4,4 mld al Centro-Nord e -1 mld al Sud.
La Svimez ricorda, ancora, la relativamente scarsa diversificazione di relazioni e scambi commerciali internazionali da parte dell’Italia, il suo limitarsi, cioè, a export verso un numero di paesi relativamente piccolo: è chiaro come, così, sia molto più difficile attenuare l’impatto negativo di politiche protezionistiche di uno di questi paesi; e ancora, esiste un grave problema di specializzazione settoriale che è strettamente collegato alla dimensione territoriale del sistema produttivo italiano. Se l’export riguarda beni e servizi facilmente sostituibili, è ovvio che i territori che sono votati a tali produzioni ne risentano in maniera maggiore e più drammatica, in termini di produzione e di occupazione. Beni ad alto valore aggiunto (facevo prima l’esempio del cosiddetto Made in Italy), invece, NON sono esposti, o lo sono molto meno, a cali di domanda per introduzione o aumento di misure protezionistiche.
Cosa conclude la Svimez? Investire di più e meglio su questi settori, ad alto valore aggiunto, certo, come prima cosa; come seconda cosa, ma non certo meno importante, messa in atto di politiche industriali strategiche per diversificare la composizione del tessuto produttivo territoriale, in modo da non svantaggiare le regioni del Sud votate a produzione di beni a basso valore aggiunto e quindi facilmente sostituibili, e a rafforzare tali politiche soprattutto nelle aree a maggiore potenzialità di sviluppo, nel Mezzogiorno d’Italia. Una strategica e lungimirante politica industriale per il Sud. Ma vedi tu … che cosa va a pensare la Svimez!