La tanto strombazzata “Locomotiva Sud” dal “Mattino” di Napoli, che fa da megafono alla propaganda meloniana, viene alimentata dallo sfruttamento del lavoro precario, che genera sudditanza sul piano etico-culturale e povertà, non solo economica, su quello sociale. Come nel suo ultimo Rapporto osserva la Svimez:
“Nel Mezzogiorno la precarietà è diventata un fenomeno tutt’altro che marginale in comparazione ad altre economie europee. Nelle regioni meridionali più di un lavoratore su cinque è assunto con contratti a termine: 21,5%, contro una media europea del 13,5%. La minore diffusione di posizioni permanenti è spiegata soprattutto dalla presenza di una struttura produttiva che più si presta a ricorrere al lavoro flessibile, per la più marcata specializzazione nel terziario tradizionale e la più contenuta dimensione media delle imprese. Quasi i tre quarti degli occupati meridionali a tempo parziale sono in part-time involontario (72,9%), a fronte del 46,2% nel Centro-Nord e meno del 20% nell’Ue. Nel Mezzogiorno si concentra il 60% dei 2,3 milioni di lavoratori poveri italiani (circa 1,4 milioni). L’andamento positivo dell’occupazione non ha impedito l’aumento delle famiglie con persona di riferimento occupata in povertà assoluta nel Mezzogiorno: 9,5% nel 2023 dall’8,5% del 2021. L’aumento è stato addirittura di 3 punti percentuali per le famiglie con persona di riferimento occupata con qualifica di operaio o assimilato: dal 13,8 del 2021 al 16,8%”.
Dunque, oltre ad essere una questione relativa ai divari di cittadinanza, la nuova questione meridionale è anche una questione salariale e contrattuale. Chi darà voce ai precari dell’edilizia, della ristorazione, dell’agroalimentare e del commercio? Chi rappresenterà i bisogni ed i diritti disattesi di 1,4 milioni di lavoratori poveri, i nuovi “contadini” del Sud?