Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Mario De Finis
Il tema delle migrazioni, lungi dall’essere un argomento “emergenziale” – esiste da quando esiste l’umanità – costituisce in tempo di globalizzazione un tratto ordinario e comune a tante realtà a livello planetario: solo negli ultimi 50 anni il numero stimato di chi risiede in un Paese diverso da quello di nascita è aumentato notevolmente, passando dai 153 milioni di migranti internazionali del 1990 ai circa 300 milioni di persone nel 2023 (3,6% della popolazione planetaria) (DATI Dossier Statistico Immigrazione 2024 – IDOS)
In Italia le persone straniere residenti in Italia sono tornate a crescere: a fine 2023 sono 5,3 milioni (+166mila in un anno), il 9,0% della popolazione complessiva (dati ISTAT). Su un tema così importante e complesso, anche per la dinamicità insita nel suo divenire, giunge opportuno ogni serio tentativo di fare il punto su differenti aspetti che lo caratterizzano. È il caso del volume Tracce. Storia dei migranti in Campania 1970-2020 di Francesco Dandolo, docente di Storia Economica all’Università Federico II di Napoli, che indaga le tante dimensioni della migrazione con un approccio rigorosamente scientifico, basato su ricerche documentali accurate e circostanziate; e su un lavoro lungo e paziente di ricostruzione di eventi, dati, storie, puntualmente connesse all’interno della articolata realtà economica, sociale, culturale del territorio campano.
A partire dal volume Tracce è possibile ricostruire il percorso storico che ha portato alla situazione attuale: dalla sorpresa degli anni ’70 di scoprire la Campania come terra di immigrazione, sino ad evidenziare i tratti più recenti dell’immigrazione, con un racconto articolato anche attraverso le difficili e toccanti storie personali di tanti nuovi europei, inserite e intessute nel problematico divenire della società campana degli ultimi 50 anni.
È una storia complessa, continuamente in progress, che parte proprio dagli anni ’70, con i primi insediamenti di migranti soprattutto da Paesi africani (Marocco, Tunisia) e asiatici (Filippine, India), impiegati come mano d’opera nel settore edilizio. Ma soprattutto come bracciantato agricolo, composto, come scrive Mario Giro:

da un crescente numero di giovani africani, conseguenza del dissolvimento dello Stato nei loro Paesi, afflitti da un’endemica povertà e dalla privazione di essenziali servizi sociali come scuola e sanità, con conseguenti conflitti sociali.

Si tratta di migranti sfruttati (lavorano sedici ore al giorno, senza interruzione dall’alba al tramonto e senza una sola giornata di riposo), sottopagati, privi di ogni tutela sindacale. Vivono in alloggi precari e in pessime condizioni igieniche, per la minaccia fisica e discriminatoria della camorra e per la grande necessità di lavorare. Una condizione di forza lavoro irregolare, stagionale, flessibile, eccedente, a basso costo e divisa per nazionalità,non troppo diversa dall’oggi in cui – secondo il rapporto Racism in Rural Areas – tuttora persistono l’isolamento degli immigrati e la mancanza di infrastrutture per soddisfare le lor necessità di base.
Negli anni ’80 e ’90, il Sud Italia e la Campania vivono una vera e propria trasformazione del profilo migratorio, legata all’intensificazione dell’afflusso di rifugiati in fuga da Paesi segnati da guerre, povertà, instabilità regionali e cadute di regimi autoritari, come in Algeria, Somalia, Libano e vari stati africani.
In particolare negli anni 90 Tracce registra una svolta di visibilità degli immigrati con la morte di Jerry Masslo, giovane profugo amico di Sant’Egidio, assassinato durante una rapina a Villa Literno da una banda armata di giovani del posto, che vogliono sottrarre i pochi soldi guadagnati per avere raccolto pomodori per un’intera giornata.
La sua morte sconvolge l’Italia e improvvisamente rende visibile la consistente ma ignorata realtà di tante persone africane che – senza riconoscimento legale e diritti sindacali – lavoravano nelle campagne del Meridione per l’economia italiana. Segue una grande manifestazione antirazzista a Roma con 150mila partecipanti da ogni parte d’Italia – immigrati e non – che dà grande impulso al dibattito che porterà all’approvazione della legge Martelli del febbraio ‘90: prima legge sull’immigrazione in Italia con cui si elimina la clausola geografica per la richiesta di asilo e si regolarizzano 220mila immigrati.
Lo storico Giuseppe Galasso sintetizza il dibattito culturale che ne deriva:

A nostro avviso l’immigrazione è un capitale prezioso, che se lo amministriamo bene noi e gli immigrati, darà grandi soddisfazioni e vantaggi a entrambi e farà dell’Italia un Paese più moderno e complesso.

Nascono esperienze come la Scuola di Lingua e Cultura italiana della Comunità di Sant’Egidio di Napoli (nel settembre 1989) che come scrive Dandolo:

Vuole essere una risposta di impegno personale e concreto nell’incontrare donne e uomini migranti nella consapevolezza che la conoscenza della lingua italiana è la chiave di accesso indispensabile per integrarsi nella società italiana, e per alimentare un clima di comprensione e simpatia reciproca.

Qui all’accoglienza premurosa degli insegnanti corrisponde la gratitudine del migrante che si sente finalmente ascoltato, compreso e rispettato: insieme costruiscono un vero laboratorio di convivenza e integrazione, fatto di libertà e reciproca fiducia.
Negli anni ‘90 e fino al 2000 all’atteggiamento prevalente di rispetto, immedesimazione e accoglienza della chiesaverso chi è immigrato, corrispondono a livello civile nuove sanatorie.
Ma il problema dell’integrazione è ancora irrisolto. Cissè, giunto a Napoli come molti senegalesi tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio del ’90, dice:

Mi sento figlio di questa città. Come faccio a sentirmi ancora immigrato quando vivo in Italia da sette anni e una parte importante della mia famiglia è in Italia da un quarto di secolo?

Intorno al 2000 l’immigrazione in Campania muta fisionomia, perdendo il carattere transitorio e iniziando un processo di autostabilizzazione, che pone questioni importanti come il problema dell’alloggio (Napoli è la città con il più alto tasso di illegalità del mercato dei fitti agli immigrati) e dell’educazione dei minori. È di quegli anni anche la campagna “Ho bisogno di te” che vede tanti anziani scendere in piazza a Napoli per manifestare per una nuova regolarizzazione (che avviene nel 2002) di quei badanti immigrati che li assistono con professionalità e dedizione.
E proprio in questi anni iniziali del nuovo millennio Napoli assiste a una maggiore visibilità della presenza degli immigrati che fa da contraltare al sensibile calo demografico e al crescente processo di invecchiamentodella popolazione, che in alcune zone raggiunge punte del 25%.
Nel decennio 2010/2020 attraversato dalla guerra in Libia e dalla crisi siriana, le dinamiche migratorie anche in Campania confermano la loro mutevolezza e complessità, con l’arrivo di profughi sia dalle pericolosissime rotte del Mediterraneo centrale (con i c.d. viaggi della speranza stipati su barconi di fortuna dai Paesi del Nord Africa dopo le primavere arabe e dall’Africa in generale), che via terra (dall’Afghanistan e soprattutto dall’Ucraina).
In queste occasioni si evidenzia la disponibilità dei campani ad accogliere, mettendo a disposizione appartamenti e stanze per offrire ospitalità:ad esempio collaborando fattivamente all’accoglienza dei profughi dall’Ucraina in guerra, insieme alla rete delle donne ucraine già presenti in città.
Dal 2020 – deadline del volume – ad oggimolto è cambiato nell’immigrazione in Campania.
Secondo i dati Istat questa Regione è ormai un territorio marcatamente multietnico, con 170 differenti nazionalità, dove al 1° Gennaio 2024 risiedono 265.484 stranieri (il numero maggiore tra le regioni del mezzogiorno e il 5% della popolazione straniera residente in Italia), che contribuiscono in modo rilevante alla forza-lavoro nei settori strategici dell’attività produttiva (agricoltura 9,8%, ristorazione 8,2%, industria 11,8%, lavori domestici, servizi alla persona 36,5%, commercio 19,9%). Napoli con i suoi 105.871 cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti sul territorio (con un +17,6% rispetto ai 90.011 del 2014) è la quarta Città metropolitana italiana per presenze non comunitarie, con l’incremento più rilevante registrato tra le 14 Città metropolitane (+ 3,8% rispetto all’anno precedente) (Dati: Dossier – La presenza dei migranti nelle Città Metropolitane 2023, a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali).
Inoltre, i nuovi europei in Campania hanno un’età media inferiore agli italiani (meno di 45 anni contro il 48,4% degli italiani), per più del 60% hanno conseguito nel Paese d’origine un diploma o una laureae parlano due o tre lingue; molti sono impegnati in attività di volontariato e studiano per rendere migliore la regione dove abitano, attraverso professioni di aiuto ai più deboli come Mediatori interculturali e Care-giver
Ma ci siamo accorti di questi cambiamenti? E che percezione abbiamo di questi nuovi europei?
Ad esempio oggi più di ieri – come riporta Dandolo – tra le motivazioni che “spingono i nuovi profughi ad affrontare i viaggi della speranza oltre alle vessazioni, le minacce e lo stato di rischio per la propria esistenza, vi sono anche sogni, affetti, coraggio e voglia di normalità”.
Davanti all’attuale clima aggressivo verso gli immigrati, occorrerebbe allora mettere da parte luoghi comuni ed apparenze, per intraprendere con loro relazioni personali fondate sull’ascolto, sulla conoscenza e la stima reciproca: una preziosa traccia per costruire una vera integrazione.
I nomi, i volti, le difficili e soffertestorie di rinascita umana e sociale (perseguite con determinazione attraverso mille vicissitudini) di Omar, Fatou, Susantha e tanti altri migranti in Campania in Tracce, mostrano come, lungi dall’essere un fattore di insicurezza e un problema, i nuovi europei – con la loro disponibilità a integrarsi con stima e simpatia – apportano viceversa valori e umanità agli abitanti della Regione.
Ad esempio insegnano tanto in termini di motivazione e di speranza,sia ai nostri giovaniche a tutta la nostra società chiusa ed individualista,indicando una strada comune, meno autocentrata, e quindi più umana.
In un tempo in cui la presenza di immigrati e rifugiati è trattato dalla politica con chiusura, diffidenza e senso di difesa, le loro storie di generosità e impegno civico – basta pensare ai tanti nostri anziani che sono potuti restare a casa propria e senza contagio durante il Covid-19 grazie alla cura di questi badanti nuovi europei – conducono a intravvedere e a ricercare possibili sbocchi futuri a un fenomenoperaltro inarrestabile.
Ma occorre pragmatismo e visione di lungo periodo.
Per il filosofo napoletano Aldo Masullo: “Non si può fermare l’emigrazione. Il problema non è salvare chi arriva di volta in volta, ma dare uno sbocco sistematico a questo fenomeno”.
Nel nuovo panorama dell’immigrazione in Campania (e ovunque), la presenza dei “nuovi europei”, se costruita da false rappresentazioni e percezioni distorte – e ricostruita invece secondo il criterio della verità oggettiva dei fatti – è una chiave di lettura per un futuro di convivenza: una proposta possibile e auspicabile nel comune interesse.
Nelle Omelie sul povero Lazzaro Giovanni Crisostomo scrive:

L’uomo misericordioso, per chi è nel bisogno, è un porto che accoglie e libera dal pericolo tutti i naufraghi; siano essi malvagi, buoni o siano come siano quelli che si trovano in pericolo.

Un invito alla concretezza dell’incontro e della solidarietà, riformulato nel suo libro Gli stranieri alle porte da Baumann: “Le risposte realisticamente efficaci alle paure e ai problemi sollevati dalla crisi migratoria può venire solo dal dialogo e dalla solidarietà”.
Oggi essere realisti e propositivi sulla questione migranti richiede ai singoli, alla società e alla politica un atteggiamento nuovo, alla ricerca di un’umanità che possa rigenerare le nostre città come spazi di accoglienza, integrazione e pace.

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