Nell’era delle policrisi e del Capitalocene, ossia del cambiamento radicale delle condizioni climatiche planetarie determinate da un modello di sviluppo capitalistico onnivoro, estrattivo e distruttivo basato sul falso mito della crescita illimitata, modello di sviluppo in cui le crisi ecologiche si intrecciano e si complicano con quelle economico-finanziarie, sanitarie e geopolitiche, sul piano etico si pone in modo sempre più dirimente l’esigenza di passare da un’etica del dominio e dello sfruttamento ad un’etica della responsabilità e della solidarietà.
Così come, per gli stessi motivi, sul piano epistemologico si pone l’esigenza di dotare le persone di nuovi “occhiali” con cui osservare i processi drammaticamente oggi in atto. “Occhiali” non più “monofocali”, bensì “multifocali”, per metterle in condizione di cogliere consapevolmente e responsabilmente la complessità del reale e le interconnessioni tra il tutto e le parti, tra le parti e il tutto, travalicando gli steccati scientifici resi sempre più settoriali ed ultraspecialistici.
Insomma, occorrerebbe una vera e propria rivoluzione etico-culturale che consenta di superare le identità regionali e nazionali in un’ottica planetaria – il sistema-Terra Gaia – e le prospettive scientifiche atomizzate in un’ottica interdisciplinare e sistemica.
Rispetto a tale esigenza allo stesso tempo etica, pedagogico-civile ed epistemologica, esigenza che vale come orizzonte di senso ideale verso il quale tendere e contemporaneamente come metro di giudizio critico del presente, se le oligarchie mondiali appaiono essere del tutto inadeguate per le loro posizioni iper-liberiste e nazionaliste, le classi dirigenti italiane in combutta con le classi dominanti estrattive meridionali appaiono essere oltremodo miopi, rapaci, ridicole.
Infatti, se per salvare Gaia occorrerebbe andare nella direzione della costruzione di una coscienza critica globale, le nostre élites sedicenti nazionali, ma in realtà grettamente localistiche, vanno nella direzione diametralmente opposta: la “secessione dei ricchi”. Vale a dire, la divisione istituzionalizzata del sistema-Paese tra Nord e Sud tramite l’attuazione del regionalismo estrattivo e discriminatorio ai danni di un Mezzogiorno considerato storicamente come la sua colonia estrattiva interna. Il tutto in modo organico rispetto alla teoria neo-liberista dello sgocciolamento.
Tra l’esigenza di una cittadinanza globale e la costruzione di identità etno-localistiche (l’antirisorgimento!) sulla base degli atavici pregiudizi antimeridionali vi è una distanza abissale, che potrà essere colmata soltanto da chi si porrà dinanzi al gap Nord-Sud e alle policrisi mondiali inforcando gli occhiali “multifocali” della complessità e della intersezionalità, assumendo lo sguardo valoriale degli oppressi e dei subordinati.
Insomma, ponendosi dal punto di vista del Sud Italia e dei Sud del sistema-Mondo occorrerebbe un vero e proprio salto di paradigma: sociale, economico, politico, etico-culturale, epistemologico e pedagogico-civile.

Condividi: