Articolo di Salvatore Lucchese

La Corte di Cassazione autorizza il referendum abrogativo totale della legge Calderoli sul regionalismo differenziato e rinvia la palla per il parere definitivo di ammissibilità o meno alla Corte costituzionale, che dovrebbe esprimersi entro il 20 gennaio. Nel destra-centro dei sedicenti “patrioti” e “sovranisti” d’Italia, ma, in realtà, di mezza Italia, tra inviti più o meno espliciti a disertare eventualmente le urne per non fare raggiungere il quorum e fibrillazioni in sede di Consigli dei ministri sul da farsi, si percepisce, ad usare un’espressione eufemistica, una leggera maretta.

Ma le cose non vanno meglio sul fronte opposto: il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, rilancia il suo compromesso sul regionalismo differenziato in nome della burocrazia zero, mentre il Presidente della Regione Emilia-Romagna, Michele De Pascale, vorrebbe evitare un “referendum lancinante” (per chi? per la “rossa” e proto-leghista Emilia-Romagna?) per fare un “tagliando al Titolo V”, dimentico che il “tagliando” è stato già proposto sotto forma di legge costituzionale di iniziativa popolare ed è stato anche già bocciato dall’attuale maggioranza di destra-centro.

Invece di proporre improbabili “tagliandi” di revisione, l’unica cosa che dovrebbe fare la Regione Emilia-Romagna per dare credibilità alla sua opposizione alla legge Calderoli è ritirare la pre-intesa firmata nel febbraio 2018 col Governo Gentiloni in felice compagnia delle Regioni leghiste Veneto e Lombardia, per poi mobilitarsi a favore del referendum abrogativo dello “Spacca-Italia”. Insomma, l’Emilia-Romagna vuole la “secessione dei ricchi”? O vuole opporsi ad essa? O pro o contro, non ci sono vie di mezzo.

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