Articolo di Nicola Vacca
Tra le cose che più mancano di Alessandro Leogrande, scomparso improvvisamente nel novembre del 2017, non c’è solo il suo impegno di scrittore e militante in difesa degli ultimi, c’è anche un sguardo acuto di analista politico e di interprete dei problemi sociali del Sud, di ogni Sud del mondo. Alessandro Leogrande non è stato solo un giornalista e uno scrittore, ma anche una delle menti più libere e lucide della cultura italiana. Un intellettuale vero, sempre attento ai problemi sociali e alle diseguaglianze, severo e libero ma soprattutto con le sue inchieste giornalistiche e con i suoi libri ha indagato sulle nuove mafie e lo sfruttamento dei braccianti nel sud. Ogni sua parola è stata una spina nel fianco negli affari sporchi del caporalato. Alessandro Leogrande è un grande uomo del Sud, figlio naturale di quella grande e nobile cultura che proviene dal pensiero meridionalista, che lo ha formato e plasmato. “Alla base dell’impegno di Alessandro Leogrande – scrive Nicola Villa nell’introduzione al volume Alessandro Leogrande, Gli anni dello Straniero. Italia1998- 2017, Edizioni dell’Asino, 2020 – giovane scrittore e intellettuale del suo tempo c’è quella scommessa laica ben espressa da Gaetano Salvemini in una famosa frase: “Io appartengo a quella religione stoica che non ha nessun dogma e nessuna speranza di vita futura, ma ha in comune col Cristianesimo il rispetto della libertà, il bisogno della giustizia, l’istinto della carità umana”. Leogrande, nato a Taranto nel 1977. Se n’è andato troppo presto e con lui è andata via anche una voce critica e necessaria per questo tempo sbandato che perde con lui un testimone e un interprete vigile che ha saputo raccontarlo a occhi aperti. Alessandro Leogrande ci ha lasciato troppo presto. Ci mancherà la sua intelligenza anche se abbiamo i suoi scritti e i suoi articoli, ma soprattutto la lucida analisi di un testimone giusto del suo e nostro tempo. Goffredo Fofi, che ha avuto l’onore di conoscerlo da vicino molto bene, scrive che Alessandro Leogrande è stato un sociologo, uno scrittore, un giornalista, certamente il migliore nel saper coniugare inchiesta e narrazione sulla scia di quanto meglio la cultura mondiale ci ha proposto negli ultimi decenni, partendo magari da modelli lontani. «Con Alessandro abbiamo perso una guida, e che sarà molto difficile, purtroppo, trovarne altre di questa statura nella generazione dopo la sua, nel campo soprattutto dell’analisi politica, del giudizio politico, dell’intervento politico». Nel suo libro Uomini e caporali (Feltrinelli, 2016), un viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud, Leogrande scrive, da vero meridionalista, che gli schiavi di Puglia parlano di una degradazione dell’uomo dei corpi e delle speranze. Lo scrittore e il giornalista denunciano la situazione barbarica che flagella il meridione (e in particolare la Capitanata) come un tumore sociale che incancrenisce anche altre parti d’Italia, dove è assente lo stato di diritto e le ingiustizie e lo sfruttamento sviliscono tutto. Nei suoi libri, che sono autentici romanzi – inchiesta, Leogrande ha fatto un viaggio negli inferi del dramma sociale, raccontando, denunciando con indignazione civile il volto nero di una Nazione. La frontiera (Feltrinelli, 2015) è un altro viaggio che ci porta nel cuore del dramma dell’immigrazione. Un’inchiesta coraggiosa in cui Leogrande ricostruisce le vicende di esodi e apocalissi che succedono in mezzo al mare, facendoci conoscere le attività degli scafisti, raccontando quello che si vede a bordo delle navi dell’operazione Mare nostrum e denunciando i soprusi e gli abusi che avvengono nei Cie.«Ho impiegato molto tempo per capirlo. Bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri a andare incontro alla morte. Sedersi per terra intorno a un fuoco e ascoltare le storie di chi ha voglia di raccontarle, come hanno fatto altri viaggiatori fin dalla notte dei tempi». In queste parole di Alessandro che chiudono La frontiera c’è la lezione che ci ha lasciato. Alessandro Leogrande nella sua breve ma intensa vita è stato uomo che ha viaggiato nella tragedia degli uomini e intrecciando sempre metodo narrativo e prospettiva politica è, come giustamente ha scritto Goffredo Fofi, una delle presenze più acute e morali della sua generazione. La sua voce ci manca ma continua a parlarci.