Nota/recensione di Salvatore Lucchese
Nel passare in rapida rassegna alcuni dei più noti ed autorevoli testi sulla storia del Mezzogiorno, della questione meridionale e del meridionalismo, si può osservare che, seppure a partire da prospettive storiografiche tra loro diverse, di solito, gli studiosi hanno indicato nel cosiddetto grande brigantaggio (1860-1870) una delle prime manifestazioni del divario, allora nascente, tra l’Italia settentrionale e l’Italia meridionale (Galasso, 1978:14-15; Salvadori, 1982: 23-33; Barbagallo, 1982: 12-14; Davis, 1988: 193-211; Villari, 1988: 78-89; Bevilacqua, 1993: 35-36; Cafiero, 1996: 14-16; Petraccone, 2005: 9-10; Barbagallo, 2013: 36-38; Pescosolido, 2017: 20-21; Pinto, 2019; Bianco, 2022: 9-13).
Fenomeno storico, che, come tutti gli altri fenomeni storici, è quanto mai variegato, articolato e complesso, il brigantaggio è stato interpretato in sede storiografica e di pubblicistica politica ora in termini sociali, ribellismo contadino, ora antropologico-razziali, criminalità di massa, ora politici, reazione conservatrice, insorgenza patriottica o guerra civile. La complessità del fenomeno cosiddetto brigantesco ci è restituita, a titolo esemplificativo, dalla lettura datane dallo storico Piero Bevilacqua, che ne offre la seguente descrizione:
Tra il 1861 e il 1866 all’incirca, (ma il periodo più intenso è compreso fra il 861 e il 1963) buona parte dell’Italia meridionale, e soprattutto regioni come la Puglia, il Molise, la Basilicata, la Campania vennero percorse dai movimenti di bande armate formate da contadini o ex soldati datisi alla macchia, che sottoponevano a saccheggio beni e proprietà di signori locali, decisi spesso a vendicare antichi soprusi sociali e familiari, e che ad ogni modo dichiaravano guerra aperta al nuovo Stato. […]. Tali anarchiche rivolte di matrice contadina, ma animate da profonde e contraddittorie esigenze di giustizia sociale, al tempo stesso avviluppate entro ideologie arcaiche e reazionarie, impegnarono ferocemente la macchina repressiva dello stato. (Bevilacqua, 1996: 35-36)
Insomma, il brigantaggio va compreso ed analizzato entro le coordinate di una griglia storiografica che si colloca all’incrocio tra “reazione e rivoluzione” (Coletti, 1987: 27), tra dimensione sociale, economica, politica e culturale.
E la complessità del fenomeno brigantesco, sì di matrice sociale, ma di cui non vengono disconosciuti tutti gli altri aspetti, è una delle possibili cifre di lettura dell’ultimo libro dello storico del ribellismo contadino meridionale Valentino Romano, Filomena, la regina delle selve. Storia e storie delle donne del brigantaggio, pubblicato quest’anno dalla prestigiosa Casa editrice Carocci.
Infatti, Romano, già autore di testi altrettanto pregevoli e rigorosi sull’argomento in questione, quali, ad esempio, Brigantesse (2007), Nacquero contadini, morirono briganti (2010), Brigantaggio e lotta di classe (2017) e Dalle Calabrie agli Abruzzi (2018), dopo pluridecennali, pazienti e meticolosi scavi d’archivio, dopo una critica rigorosa delle fonti da lui intrecciata con i debiti approfondimenti della letteratura secondaria sulle rivolte contadini meridionali post-unitarie, giunge a restituire in questo volume, contestualizzandola, la veritiera immagine storica di Filomena Pennacchio, sottraendola, così, alle opposte letture ideologiche di “regina delle selve” (Romano, 2024: 18), di matrice tanto letteraria quanto storiografica. Come egli stesso osserva:
Romanzieri d’evasione a caccia di emozioni morbose, storici abbarbicati su una rappresentazione oleografica e acritica del processo unitario e scrittori nostalgici di un’idea di Stato e di un’epoca delle quali si era consumato l’ultimo crepuscolo si sono via via appropriati, con contrapposte letture ideologiche, della figura delle regina delle selve, del suo agire, della sua ribellione e dei suoi cedimenti, del suo ardimento e delle sue debolezze, delle sue crudeltà e delle sue tenerezze. Ciascuna delle diverse narrazioni che, di conseguenza, ne sono scaturite risente delle posizioni ideologiche di partenza che per poco o per nulla hanno in conto la comprensione del dramma esistenziale e sociale di Filomena, come donna del suo tempo, e delle tante altre popolane meridionali che – subendo, come lei, conseguenze pesantissime per le scelte compiute – pure ebbero un ruolo non trascurabile nei primi processi formativi della difficile unificazione del paese. (Ibidem)
Per decostruire prima le narrazioni e le rappresentazioni oleografiche e ricostruire poi la vera storia di Filomena Pennacchio, Romano ha dovuto operare da storico archeologo, in quanto per risalire all’arché, ossia al volto autentico, stando all’attuale stato dell’arte, di Filomena Pennacchio, ha dovuto compiere una non facile operazione di rimozione delle incrostazioni-rappresentazioni non solo parziali, ma anche faziose, di matrice classista, ideologica e di genere, che sono alla base della costruzione del mito della Regina delle selve.
Il maggior pregio del libro di Romano risiede nel fatto che egli mostra chiaramente al lettore, anche a quello non addetto ai lavori, il suo metodo di ricerca. Apre le porte del suo laboratorio di storiografia archeologica e fa vedere ai visitatori non solo gli strumenti del suo mestiere, fonti di archivi di Stato e militari, letteratura critica generale e locale, ma anche e soprattutto il modo in cui li utilizza: la contestualizzazione, la distinzione, la comparazione e l’intreccio delle fonti e la riflessione logico-critica sulle stesse.
Insomma, lo storico pugliese illustra non solo il prodotto delle sue ricerche, la vera storia di Filomena Pennacchio, ma anche, e soprattutto, il processo tramite il quale è giunto all’accertamento della verità basata sui fatti criticamente accertati, ponendosi, esplicitamente, quelle domande che sono alla base della ricerca storiografica, ma che quasi mai gli storici rendono esplicite nei loro testi.
Se prima della monografia di Romano, Filomena Pennacchio era la “regina delle selve”, ossia una bella e giovane contadina ribelle per amore di un capobrigante, Giuseppe Schiavone, ed in quanto tale da demonizzare o idealizzare, a seconda dei punti vista di chi ne raccontava le gesta, dopo il paziente e rigoroso scavo archeologico da lui compiuto in sede storiografica, si scopre il vero volto di Filomena Pennacchio: una giovane donna contadina, che, evidenzia l’autore, come altre donne a lei contemporanee, tra combattenti e manutengole, nel più ampio contesto della “‘guerra cafona’ esplosa in tutta la sua virulenza parallelamente alla “‘conquista regia’” (Ibid.: 26), cerca di reagire agli eventi storici che la travolgono con tutto il suo carico di “coerenze e contraddizioni” (Ibid.: 207). Una donna che, dopo avere scontato la sua pena, ma non per intero (Ibid.: 185), ha una “seconda chance” (Ibid.: 1919), si rifà una vita e il 10 aprile del 1883 si sposa con il commerciante d’olio torinese Antonio Valeperga, per poi morire da piccola borghese a Torino il 16 febbraio del 1915. Una storia di caduta e riscatto che confuta stereotipi e pregiudizi oramai sedimentatisi nel senso comune, in quanto, sottolinea Romano:
[…] la storia delle “donne dei briganti” – tra letterature d’evasione, narrazioni fantastiche, storiografie “benpensanti” e pregiudizi di genere e di classe – è diventata, con crudele semplificazione, nella stragrande maggioranza dei casi, la storia delle “drude”, delle “femmine” di malaffare dei briganti, di essere umani al limite della bestialità e anche oltre: il che costituisce anche la più immeritata delle condanne dell’altra metà del purgatorio della rivolta contadina! (Ibid.: 204).
Ricostruendo la storia dell’“insorgenza contadina” (Ibid.: 196) dal punto di vista “dell’altra metà del purgatorio” (Ibid.: 204), le donne, Romano assume una postura di ricerca originale che gli consente di decostruire criticamente le rappresentazioni negative sul Meridione. Rappresentazioni che, frutto di atavici pregiudizi antimeridionali (cfr. Teti, 1993; Teti, 2013; De Francesco, 2012; Cremonesini & Cristante, 2015; Conelli, 2022), nel decennio successivo alla proclamazione della nascita del Regno d’Italia, sono ulteriormente (ri)-formulate tramite un complesso di discorsi – norme statali, atti giudiziari, relazioni ed inchieste politiche, articoli di giornale, romanzi, memorie, diari, lettere, saggi storici, leggende popolari – tesi ora a criminalizzare e disumanizzare la “guerra contadina” (Romano, 2024: 199), ora ad idealizzarla. Discorsi da collocare nel più ampio contesto del processo storico di disciplinamento delle soggettività, comunque ribelli, ossia, al di là delle retoriche da Libro cuore, nella più ampia cornice storica del fare, in concreto, gli italiani tramite quella che potrebbe essere definita nei termini della ‘pedagogia della baionetta’ tesa all’educazione alla subalternità, ben esemplificata dalla feroce repressione dell’“insorgenza contadina”(Ibid.: 199).
Ebbene, il libro di Romano, Filomena, la regina delle selve, offre lo spunto per focalizzare l’attenzione dei lettori e degli studiosi sulla genesi e le implicazioni concrete, gli effetti di potere, di tali discorsi che riprendono, rielaborano, estendono e generalizzano le rappresentazioni e gli stereotipi negativi antimeridionali, sino al punto tale da potere considerare tale focus come l’altra ottica di lettura del libro dello studioso pugliese: le rappresentazioni negative delle classi popolari meridionali non come fonti storiche attendibili sulla storia del brigantaggio, bensì come oggetto di ricerca: il modo in cui le stesse vengono concepite e raffigurate da un punto di vista borghese, settentrionale e patriarcale. Dunque, tali rappresentazioni come oggetto di ricerca, a cui, data la sua pluridecennale frequentazione di tali fonti, lo stesso Romano potrebbe offrire un contributo di notevole spessore.
Infine, la postura di ricerca assunta dallo storico pugliese, l’assunzione come prospettiva di studio del “ribellismo contadino” (Ibid.: 192) del punto di vista delle “‘donne dei briganti’” (Ibid.: 204), consente al lettore di cogliere le logiche, le dinamiche ed i dispositivi effettivi di potere, di disciplinamento e di subordinazione delle ‘teste’, dei ‘cuori’ e delle ‘mani’ delle soggettività ribelli, non solo quelle relative alle pratiche del dominio di classe, ma anche quelle relative alle pratiche di dominio culturale, Nord vs Sud, civiltà vs selvaggi, e patriarcale, maschi vs donne. Dunque, una postura radicale quella assunta da Romano, che consente di evidenziare la mancata intersezionalità (Coin & Crenshaw, 2019: 56-63), ossia il mancato intreccio tra le diverse forme di dominio dell’Italia di secondo Ottocento.
Mancata intersezionalità che caratterizza anche l’attuale fase del dibattito politico-culturale sul Mezzogiorno, in quanto, se è vero che rispetto al 2018, anno in cui il Governo Gentiloni stipulò le Pre-Intese sul regionalismo differenziato con le Regioni Veneto e Lombardia, a guida Lega Nord, e con la Regione Emilia-Romagna, a guida Partito democratico (Pd), oggi, invece, tutte le forze di centro-sinistra e le Regioni a guida Pd e Movimento 5 Stelle hanno preso posizione contro quella che viene definita la “secessione dei ricchi” (Viesti, 2023: 5), è anche vero che addirittura non solo le forze di centro-sinistra dell’arco parlamentare, ma anche quelle della sinistra sociale e radicale hanno rimosso il tema della questione meridionale come questione sociale, economica e civile di portata non solo nazionale ma oggi anche europea. E così facendo, mostrano di avere delle difficoltà a costruire sia sul piano teorico che su quello pratico delle intersezioni, dei collegamenti, dei nessi tra le diverse forme di dominio e d’oppressione sociale, di genere, generazionale e territoriale, che attraversano un Italia sempre più “divisa e diseguale” (Villone 2019).
Dalle insorgenze contadine sino al tentativo di attuazione del regionalismo differenziato ai danni del Sud, chi darà voce ai vinti di ieri e ai discriminati di oggi per motivi territoriali? Romano ed altri lo hanno fatto, lo fanno e continueranno a farlo sul piano storiografico e più in generale culturale, ma chi lo farà sul piano precipuamente politico?
Bibliografia
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Bevilacqua, P. (1993), Breve storia dell’Italia meridionale dall’Ottocento a oggi, Roma: Donzelli.
Bianco, A. (2022), Breve storia del brigantaggio tra Puglia, Molise e Campania (1860-1864), Soveria Mannelli: Rubbettino.
Cafiero, S. (1996), Questione meridionale e unità nazionale (1861-1995), Roma: la Nuova Italia Scientifica.
Coin, F., Crenshaw, K. (2019), “Libertà, uguaglianza, intersezionalità”, in Jacobin Italia, n. 2, pp. 56-63.
Coletti, A. (1987), La questione meridionale, Torino: Società Editrice Internazionale.
Connelli, C. (2022), Il rovescio della nazione. La costruzione coloniale dell’idea di Mezzogiorno, Napoli: Tamu Edizioni.
Cremonesini V. & Cristante S. (2015), La parte cattiva dell’Italia. Sud, Media e Immaginario collettivo, Milano-Udine: Mimesis Edizioni.
Davis, J.A. (1988), Legge e ordine. Autorità e conflitti nell’Italia dell’800, Milano: Franco Angeli.
De Francesco, A. (2012), La palla al piede. Una storia del pregiudizio antimeridionale, Milano: Feltrinelli.
Di Brango, E. & Romano, V. (2017), Brigantaggio e rivolta di classe. Le radici sociali di una guerra contadina, Roma: Nova Delphi Libri.
Galasso, G. (1978), Passato e presente del meridionalismo, vol. I,, Napoli: Guida.
Pescosolido, G. (2017), La questione meridionale. Centocinquant’anni di storia, Roma: Donzelli.
Petraccone, C. (2005), Le ‘due Italie’. La questione meridionale tra realtà e rappresentazione, Roma-Bari: Laterza.
Pinto, C. (2019), La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti (1860-1870), Bari: Laterza.
Romano, V. (2024), Filomena, la regina delle selve. Storia e storie delle donne del brigantaggio, Roma: Carocci.
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Brigantaggio e lotta di classe (2017) e
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Salvadori, M.L. (1981), Il mito del buongoverno. La questione meridionale da Cavour a Gramsci, Torino: Einaudi.
Teti, V. (1993), La razza maledetta. Origini del pregiudizio antimeridionale, Roma: Manifestolibri.
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Viesti, G. (2023), Contro la secessione dei ricchi. Autonomie regionali e unità nazionale, Roma-Bari: Laterza.
Villari, R. (1988), Il Sud nella storia d’Italia, Roma-Bari: Laterza.
Villone, M. (2019), Italia divisa e diseguale. Regionalismo differenziato o secessione occulta, Napoli: Editoria Scientifica.