Saggio breve di Marco Cardetta

1.1 Il presupposto. il Sud è il centro del Mondo

Partiamo da un presupposto. (Che è anche un esperimento mentale e psicologico) Il Sud Italia è il centro del mondo. Lo è dal punto di vista geografico. È il centro di !un! mondo, il Mediterraneo, uno dei sistemi geoculturali (e politico) naturali più importanti sul globoacqueo (la terra è assai poca), con particolarità uniche: non vi sono sistemi geoculturali naturali così piccoli e ricchi di differenze, con tale lunga storia di scambi culturali, commerciali, spirituali, dall’antichità ad oggi – con continuità. 

Il Sud Italia (assieme al resto della penisola) è stata anche centro politico per circa un millennio, durante il periodo greco-latino: tanti intellettuali che oggi consideriamo perfettamente integrati in quel percorso culturale, in verità venivano dai confini dell’impero – nei fatti dei migranti, più o meno privilegiati, spesso dall’attuale Maghreb: Sant’Agostino, Apuleio tra i più famosi. Affluivano nella penisola perché la penisola era il centro. Quando però il potere non è partito dall’Italia, e dal Sud, il potere lo ha attraversato, o ha cercato di dominarlo.

Quando la penisola ha smesso di essere !quel! centro politico, propulsore e baricentro, comunque è rimasta – sempre per la sua centralità geografica nel Mediterraneo – terra di approdo, attraversamento, conquista, interessi. La terzina di Dante, rende l’idea. 

«Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!» (Purgatorio, canto VI, vv. 76-78)

 

Bordello vero e proprio, testimoniato da diversi studi sul genoma delle popolazioni del Sud, uno dei più ricchi al mondo, dato che per secoli popoli diversi si son mischiati in copule multietniche: illiri, greci, slavi, bizantini, normanni, svevi, francesi, spagnoli, inglesi, ecc. di cui restano vestigia nelle lingue e non solo. Nessuno si è rimescolato quanto i meridionali.

Altrettanto il Sud per secoli – e ancora oggi – ha giocato i ruolo primario di portaerei, trampolino,punto di partenza e di approdo, da e per la Terra Santa, quanto per qualsiasi altra destinazione nel Mediterraneo. (A conseguenza di questo anche l’importanza delle vie di comunicazione, Appia e via Traiana in primis, poi via francigena – prima dimenticate per secoli e oggi in percorso di valorizzazione cultural-turistica.)

Ogni potere forestiero, dai greci agli americani, da Ferdinandea a Sigonella, ha avuto sempre interesse in questo avamposto nel mezzo del Mare Nostrum. Siamo ancora oggi una Ferdinandea da cui se non parte il potere, il potere lo subisce.

Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il ‘la’; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei, Chevalley, e quanto la regina d’Inghilterra; eppure da duemila cinquecento anni siamo colonia. (Così Tomasi di Lampedusa in un famosissimo passo)

1.2 Sviluppo: lo spostamento del baricentro

Fin qui forse ovvietà. Ora qual è il punto? Che il Sud Italia non ha scelta: data la sua posizione deve comprendere questo bivio fondamentale: o emette potere o lo subisce.

Il Sud Italia deve ritornare ad essere promotore di potere (nel senso più nobile del termine, di possibilità, di poter fare, di potere intellettuale e culturale – non di dominazione sugli altri o imperialismo). Deve influenzare la narrazione e non subirla. Soprattutto in questa fase storica cruciale.

Se il Sud infatti, ha perso solo parte del suo potere attrattivo, la sua importanza di fulcro, per circa cinque secoli, con lo spostamento dell’asse dal Mediterraneo all’Atlantico (di qui la perdita d’importanza dell’Appia e della Lucania in questo lasso di tempo; Appia e Lucania negli ultimi anni in rispolvero) – oggi le cose stanno cangiando nuovamente: l’asse ritorna a spostarsi, verso l’oriente, l’egemonia culturale ed economica americana pare scricchiolare (anche se chiaramente il cambiamento necessiterà decenni, secoli, o di un grave attrito che scongiuriamo), così il mondo mediterraneo (e ovviamente chi ne è protagonista) tornerà a giocare un ruolo di primo piano, di crocevia di interessi e culture.

(Piccola parentes)i: in quest’ottica bisogna considerare i focolai attuali di guerra fredda e calda – diffusa, gioco a somma zero decentrato: tentativo continuo di destabilizzazione, zizzania, di tirar per la giacchetta l’Europa contro possibili legami culturali, ed economici, con gli altri bacini ed assi mondiali emergenti o già emersi: vedi Cina e via della seta.

Aggiungo: parentesi nella parentesi. È pensiero del sottoscritto che i conflitti attuali siano anche, in gran parte, responsabilità di un’Italia e di un Sud Italia assolutamente assenti, che non sono stati capaci negli ultimi anni di prendersi le responsabilità che io imputo loro – come detto sopra – per diritto e dovere di geografia.

In altri tempi, con altre classi politiche – che con pregi e difetti hanno saputo reggere in equilibrio la penisola per decenni, tra forze centrifughe fortissime, tra terrorismo interno ed esterno, moglie americana e amante araba; a conoscere bene la storia della Prima Repubblica vi è da stupirsi di esser rimasti ancora in piedi nonostante tutto – con un’altra sinistra assai più incisiva, e con ben altri sindacati, l’Italia e il Sud avrebbero dovuto svolgere quel giusto ruolo di mediatori e pacieri, nei conflitti attuali – Ucraina e Palestina – affinché non si giungesse al punto si è, e in cui ancora la fine e la pace sembrano lontani.)

In questo nuovo cambiamento epocale l’Italia e suo avamposto nel Mediterraneo, il Sud Italia, possono e debbono giocare ruolo chiave, autonomo e possibilmente di guida: pena l’esser altrimenti guidati e influenzati.

È tempo che i meridionali avvertano su di sé il peso di questa responsabilità e del potenziale insito in questo, che si rendano conto di ciò a cui la geografia naturalmente li destina ad essere, punto d’incontro, di mediazione, cultura di accoglienza.

I meridionali devono iniziare a prendere consapevolezza di essere il centro del mondo e di un mondo.

Per far questo però un cambio di prospettivaè necessario, un cambio di visione radicale che ha per presupposto da un lato la presa di consapevolezza della propria identità ricca e straordinaria, di cui si è detto, fatta di differenza e mescolanza di popoli, da l’altra, di un cambio di linguaggio, di proiezione della propria narrazione e immagine, attraverso l’estromissione di pesanti difettacci antropologici.

Di questo parlerò nella seconda parte dell’articolo, spiegando perché non credo nel meridionalismo, eppure credo nel Meridione (e non sempre nei meridionali). (E perché sono felicissimo di scrivere su questo magazine)

 

 

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