Articolo di Rosa Finelli

Quando lasci il tuo luogo natio, spece se avevi già radici ben piantate, sia che si tratti di una scelta tua o ti è stata imposta, sei certo che non te lo toglierai mai di dosso e allo stesso tempo non ne farai mai più ritorno definitivamente. Avrai la sensazione costante di essere un homeless, un senza terra, e ti sentirai sempre ospite in casa d’altri. O almeno, è quello che è capitato a me.

Avevo 15 anni quando un giorno, tornata da scuola, i miei genitori mi prospettarono l’idea di trasferirci al Nord e le motivazioni che mi dettero furono così convincenti che io non feci altro che dare il mio benestare, a quella che allora mi sembrava una bella avventura da assaporare ma che solo il tempo ha definito in tutta la sua durezza. Indubbiamente, fu una scelta saggia ma non priva di contropartite. Mi mancava tutto: gli affetti, i paesaggi, i colori, gli odori, qua era tutto dannatamente diverso! E quella non era una vacanza…

A scuola mi deridevano per il mio accento e tutti mi chiedevano come prima cosa: “da dove vieni”, quasi a voler sancire ogni volta il mio essere forestiera, ovvero “terrona”. Che onta pesante per una ragazzina! Che oltre alle fatiche dell’adolescenza doveva pure affrontare quelle di essere una ‘minorata’ (il fatto che fossi del Sud automaticamente mi dava questa connotazione). E così mi ingegnai: persi subito la mia cadenza e cercai di nascondere il più possibile la mia provenienza; piano piano mi inserii in questo nuovo contesto e per farmi accettare definitivamente iniziai a tagliare i ponti con tutto ciò che era la mia meridionalità, non mi era più di nessuna utilità in questa nuova edizione della mia vita! Quanto fui ingenua lo compresi solo molto tempo dopo. Dicono che i primi sette anni di vita definiscono le persone che saremo e un terzo del carattere è scritto nei geni, mi ci sono voluti trent’anni per capirlo.

E per maturare la consapevolezza che noi esseri umani siamo come le piante, per crescere in altezza abbiamo bisogno di affondare le nostre radici in profondità. Già, ma come si fa dopo che hai passato la maggior parte della tua esistenza lontana dalla tua terra, hai acquisito una mentalità e un modus vivendi differente e quasi rinnegato le tue origini a trovare la quadra tra il richiamo delle radici, sempre più impellente, e il bisogno di proseguire il tuo viaggio? Beh, qui poi ognuno trova la sua risposta: ci sono quelli che decidono di tornare a casa (perché casa, come la mamma, è sempre e solo una), quelli che si accontentano di tornarci per le vacanze, e quelli che sono così feriti, per un motivo o per l’altro, che decidono di recidere quelle radici per sempre e sentirsi a casa altrove. Comunque sia, a ciascuno mancherà un pezzo.

Mi capita quotidianamente, anche per il lavoro che faccio a contatto con le persone, di raccogliere testimonianze di meridionali trasferitisi al Nord e ognuno ha la sua storia da raccontare. Il fil rouge è sempre lo stesso: la ricerca di opportunità lavorative e prospettive di vita migliori. Molti mi rivelano di averci provato, magari dopo gli studi, a restare a lavorare al Sud, ma in condizioni spesso precarie e con pochi diritti riconosciuti, così sono stati costretti, loro malgrado, a scappare via lontano per non soccombere a situazioni degradanti sia dal punto di vista umano che professionale.

E questa è la cosa che fa più soffrire: la costrizione. Un conto è se uno sceglie di andare a fare una esperienza fuori, per allargare i propri orizzonti e magari arricchire il proprio bagaglio; altro è il non avere scelta. Purtroppo, noi meridionali perlopiù ci troviamo in questa condizione: perennemente divisi tra l’esigenza lavorativa e il richiamo del cuore. Famiglie smembrate, con i figli sparsi in ogni angolo del paese, se non del mondo, che si riuniscono solo poche volte l’anno, per le festività o per i lutti. E quanto male fa separarsi ogni volta…uno strappo al cuore che si sfilaccia a poco a poco. E convivere con la consapevolezza che le persone più importanti della tua vita non puoi godertele.

Ma qui scatta la rabbia! Per questo che apparentemente sembra un destino ineluttabile, ma che, se vai a ritroso nella storia (quella vera!), ti accorgi che è frutto di un disegno e di uno scempio che fu architettato ai danni del fu ricco e fiorente Sud e che ancora oggi viene perpetrato. Allora, sapete che fanno i meridionali che vivono lontani dalle loro terre e dalle loro genti? Si ritrovano e fanno famiglia: condividono cibo, esperienze, tradizioni, per sentirsi a casa e meno soli. E attenuare un poco la morsa della nostalgia che è sempre lì in agguato. Come Paola, a cui passo la parola per raccontare di sé e del suo progetto.

 

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